Se “dell'ultimo orizzonte il guardo esclude” … non è “veduta”

Se “dell'ultimo orizzonte il guardo esclude” … non è “veduta”
08 Maggio 2017: Se “dell'ultimo orizzonte il guardo esclude” … non è “veduta” 08 Maggio 2017

Se “dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”[1] … non è “veduta”.

Per Cass. civ. n. 9994/2017 è tale solo quell’apertura che consenta il comodo esercizio di “inspectio” e “prospectio”, senza dover ricorrere a supporti strumentali, né a posture innaturali, difficoltose o, addirittura, rischiose, e ciò tenendo conto dell’altezza dell’uomo medio.  

IL CASO. Protagonista della vicenda una signora che aveva agito, ai sensi dell’art. 904 c.c., lamentando che l’esercizio di due vedute le fosse stato arbitrariamente precluso dal vicino.

Vista rigettata la domanda dalla Corte d’Appello di Venezia, costei aveva proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione di secondo grado nella parte in cui non aveva tenuto conto che “simili finestre, le quali consentivano comunque di affacciarsi agevolmente, senza l’aiuto di supporti artificiali, erano abbastanza diffuse nei fabbricati di montagna, peraltro, presentavano misure abbastanza prossime a quelle adottate per gli edifici moderni”.

Né aveva considerato le dichiarazioni testimoniali, le quali “avevano concordemente affermato che dalle aperture in parola era possibile vedere sia frontalmente, che lateralmente, ed altresì affacciarsi”.

Aveva, pertanto, censurato la sentenza laddove aveva ritenuto che “l’affaccio implicasse di necessità lo sporgersi con il corpo”, in quanto “prospicere in alienum non significa sporgersi con tutto il busto fuori dall’apertura, bensì esclusivamente di affacciarsi  a guardare anche lateralmente, attività per la quale è sufficiente affacciarsi con il viso”.

LA SENTENZA. La Cassazione ha ritenuto le suddette censure “radicalmente destituite di fondamento”.

Ciò, in considerazione della “inadeguatezza delle due finestre a consentire un comodo esercizio di veduta”, conclamata “dall’accertamento del CTU, nonché, peraltro, dal dimensionamento e dalla collocazione delle predette, che ha permesso alla Corte di merito di svolgere un ineccepibile ragionamento logico, sulla base del quale, tenendo conto dell’altezza e della corporatura media di un uomo sarebbe risultato quantomeno incomodo l’atto dell’inspicere e del prospicere”.

La Cassazione ha, pertanto, confermato la decisione censurata, la quale aveva fatto “corretta applicazione” della “conforme pluridecennale interpretazione dell’articolo 900, cod. civ., … laddove deve ritenersi considerazione acquisita che la non comodità deriva non soltanto dalla necessità di avvalersi di supporti strumentali, al fine di consentire l’affaccio e la possibilità di guardare liberamente in avanti, in alto, in basso e lateralmente, ma anche dalla difficoltà intrinseca di far luogo a tale attività, senza assumere posture innaturali, difficoltose o, addirittura, rischiose …

È di tutta evidenza, per esperienza comune, che un uomo, anche di bassa statura, per affacciarsi da una apertura posta a 110 cm dal suolo (ancor più, ovviamente a 85 cm) deve prendere una posizione platealmente e scomodamente curva, che se può consentirgli una qualche visione diretta, tuttavia, rende la rotazione del capo e l’affaccio palesemente inusuali e scomodi …

Non potrebbe che trattarsi di assunzione posturale protraibile a fatica e solo per un tempo assai breve, con sforzo e senza alcuna comodità. A ciò, deve aggiungersi l’angustia dell’apertura, che, addirittura, in un caso, consentirebbe appena di introdurre la testa”.

La Cassazione ha, pertanto, confermato la qualificazione, operata dalla Corte d’appello, delle due aperture quali “luci irregolari”, anziché “vedute”, ed ha conseguentemente rigettato il ricorso.

 [1] G. LEOPARDI, L’infinito, canto XII.

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